Il reddito professionale e la rendita dell’investimento dello Studio odontoiatrico

Reddito e ritorno dell'investimento dello studio odontoiatrico

Lo specialista in odontoiatria studia con passione per esercitare la sua professione che prevede che egli sappia fare una serie di attività cliniche e relazionali.

Spesso il professionista ha difficoltà a concentrarsi sulla ottimizzazione delle attività extra cliniche che hanno un impatto importante sul successo economico dell’attività, sul reddito professionale dell’odontoiatra e sul ritorno degli investimenti sostenuti.

Vediamo quindi, con la collaborazione del Dott. Luigi Recchioni, dottore commercialista e revisore contabile, quali valutazioni può compiere l’odontoiatra per dare una corretta dimensione economica alla propria attività.

Il focus dell’odontoiatra: l’attività clinica

Relazionarsi con il paziente, fare l’anamnesi e l’informazione alle cure, ottenere il consenso alle cure, fare un esame obiettivo, formulare una diagnosi, una prognosi, conoscere le attività di prevenzione, e soprattutto le attività di cura, ovvero la pratica clinica dell’odontoiatria. 

È per questo che lo specialista studia, sa cos’è una giunzione amelo-cementizia, una tasca parodontale, una carie, una lesione precancerosa di una mucosa e un click all’articolazione, o cos’è un’agenesia o come si interviene in una malocclusione, e un sacco di altre informazioni fondamentali per svolgere la professione.

Le attività extra cliniche

Tuttavia, nessuno insegna all’odontoiatra come le attività cliniche che tanto gli stanno a cuore e per le quali si perfezionerà con costanza negli anni, si inseriscono in un quadro adeguatamente produttivo o in un’organizzazione che eroga servizi sanitari.  

Nessuno gli spiega come gestire le risorse umane subordinate ed i collaboratori, nessuno gli insegna la cultura di impresa specifica per la gestione delle organizzazioni sanitarie, nessuno gli insegna il controllo di gestione. “Compra” queste informazioni nel corso degli anni, affidandosi a formatori e consulenti e il più delle volte, in qualche modo “ce la fa”. 

La passione per la professione ad un certo punto ha la meglio su tutto, e nonostante non vi sia un apprendimento strutturato dei principi di governance delle organizzazioni sanitarie, la clientela c’è ed è fidelizzata, il personale c’è e in qualche modo è rimasto accanto, i collaboratori sono andati tornati cresciuti cambiati ma in qualche modo l’attività “gira” e i conti si chiudono. 

Ecco, appunto i conti si chiudono…. Ci sono due riflessioni da fare… 

Quanto deve guadagnare un professionista della salute nello svolgimento della sua attività professionale? 

Un medico ospedaliero neo-specialista per svolgere la professione, ad esempio  in Alto Adige, con orario a 40 ore, più 2 guardie in orario di lavoro ed una guardia in orario extra al mese, ha uno stipendio netto di circa 4.900 euro al mese per 13 mensilità.   

Un medico specialista con almeno 5 anni di esperienza che fa 40 ore a settimana,  più 2 guardie in orario di lavoro ed una guardia in orario extra al mese, e 2 ore di intra-moenia, sempre in Alto Adige, guadagna 5.700 euro al mese per 13 mensilità. 

Considerato che un impiegato amministrativo comunale guadagna circa 1.800,00 euro netti mensili, un impiegato bancario “quadro” di 4° livello guadagna circa 4.400,00 euro al mese, lo stipendio di un medico neo-specialista si colloca sopra a un impiegato comunale e lo specialista con almeno 5 anni di esperienza si colloca sopra a un “quadro” bancario. 

Nel privato, fatturato meno costi (in un regime contabile per cassa) dà il reddito professionale.
Se il reddito professionale lordo di uno specialista in ambito pubblico, con almeno 5 anni di esperienza ammonta a 134.280,00 euro all’anno e circa 75.000,00 euro netti all’anno (assicurazione sanitaria compresa, assicurazione per colpa lieve), e considerato che resta a carico del suddetto medico il pagamento della cassa di previdenza (circa 20.000 euro/anno, il 18,50 % per i redditi fino a 100.000,00) si può arrivare a conteggiare che il reddito netto di un professionista sanitario pubblico, al netto del pagamento della previdenza complementare, ammonti a circa 4.230,00 euro al mese per 13 mensilità.

Affinché un odontoiatra, che adotta una contabilità per cassa e opera nel privato, per 40 ore settimanali più  6 ore di al pari delle ore di guardia medica, abbia lo stesso reddito netto (4230 euro al mese per 13 mensilità) è necessario che la differenza tra incassi e costi sia di almeno 110.000 euro, che corrisponderanno al reddito professionale.
Calcolando il pagamento della cassa di previdenza e delle tasse, resterà uno “stipendio netto mensile” di circa 4.350 euro al mese.  In uno studio associato con 2 soci di pari esigenze la differenza tra incassi e costi dovrà essere di 220.000,00 euro anno. 

L’odontoiatra che svolge la professione in privato può arrivare ad avere uno “stipendio mensile netto di 4.230 per 13 mensilità“ al pari di un dipendente pubblico neo specialista, se riesce a creare uno scostamento tra incassi e costi di almeno 110.000 euro. Se le sue esigenze economico – finanziarie sono superiori, ovvero ha bisogno di uno “stipendio netto” di 7.000 euro al mese per 13 mensilità, lo scostamento tra costi e incassi dovrà essere circa di 180.000 euro. 

Quante e quali responsabilità incombono sull’odontoiatra?

Sono diverse le responsabilità che gravano sull’odontoiatra: responsabilità professionali (che consistono principalmente nell’operare secondo lo stato dell’arte delle diverse discipline, osservare linee guida, raccomandazioni e protocolli operativi, essere costantemente aggiornati su tecnologie, materiali, metodiche e scoperte scientifiche), responsabilità deontologiche, responsabilità amministrative, responsabilità civili e responsabilità medica. 

E’ opinione personale della scrivente che uno stipendio di € 4.300 al mese per 13 mensilità sia una buona base di reddito, ampiamente giustificata dal livello di preparazione che la professione odontoiatrica  richiede e dal livello di responsabilità che comporta. 

Quanto investe un odontoiatra per esercitare la professione in privato e quanto deve rendere l’investimento? 

Dipende da diverse scelte ma si può dire che gli investimenti sono molto  significativi. Dotare e mantenere la struttura aggiornata con la tecnologia e l’innovazione, mantenere sé stessi e il team costantemente aggiornati, garantire i profili di sicurezza, sostenere la comunicazione richiede investimenti costanti nel tempo. Non si arriva a consolidare e fidelizzare una clientela negli anni senza cospicui  investimenti.

Ci sono due tipi di investimenti: quelli per la formazione e l’orientamento all’eccellenza nella pratica clinica e quelli per l’esercizio della professione. L’odontoiatria racchiude 10 branche (pedodonzia, ortodonzia, conservativa, endodonzia, parodontologia, chirurgia orale, implantologia, protesi fissa, protesi mobile, gnatologia), più la diagnostica. Ogni branca richiede una specifica attrezzatura e strumentazione, nonché una specifica preparazione.
Sostengo da sempre che “fare il dentista” sia costoso. L’innovazione tecnologica è molto rapida, pertanto, gli investimenti per restare aggiornati in tecnologie strumenti e prodotti sono costanti. A differenza delle altre professioni ordinistiche, l’investimento per esercitare l’odontoiatria è molto significativo, ovvio che questi investimenti debbano trovare una loro forma di ritorno dell’investimento a lungo termine. Se a breve termine consentono di elevare il livello di qualità delle prestazioni e consentono una ricaduta sulla capacità reddituale in itinere, a lungo termine e al momento del passaggio del testimone rientrano sotto la voce “avviamento”. 

Per questo, quando un professionista pensa di cedere l’attività professionale (del tutto o in parte) viene calcolato “l’avviamento“ ovvero “il complesso di elementi organizzati per l’esercizio dell’attività professionale che rappresenta la capacità reddituale dell’organizzazione”.  L’avviamento è cedibile a titolo oneroso. Per valorizzare correttamente gli elementi di valore ai fini di una cessione è importante raccogliere per almeno 3 anni gli indicatori chiave di risultato analizzando i dati del controllo di gestione e predeterminare il range di valore dell’obiettivo di riscatto. Non ci sono solo i dati estrapolabili dai bilanci, saranno gli indicatori di produttività e le marginalità che acquisiranno valore agli occhi dell’acquirente. 

Avvalersi di un Coach per tracciare gli elementi chiave del progetto di cessione consente di esplorare i possibili scenari e di individuare il giusto orientamento.  

Articolo realizzato con la collaborazione del Dr. Luigi Recchioni, dottore commercialista, revisore contabile, autore di diverse pubblicazioni specifiche per l’ambito sanitario.  

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