Il problema è il paziente!

Paziente

È la terza variante degli alibi nello Studio odontoiatrico: quando si vuole evitare di affrontare situazioni spiacevoli il problema è il paziente. O i suoi familiari. 

Che il paziente sia cambiato in questi ultimi 20 anni è certo. Oggi è un paziente più informato, più disorientato e più esigente. É un paziente meno passivo, meno tollerante. Vediamo questi cambiamenti punto per punto.

Il paziente è più informato

Grazie ai motori di ricerca è possibile interrogare la rete su qualunque cosa: i motori di ricerca pescano nei contenuti del web e rispondono alle nostre domande. Se digito su Google (motore di ricerca prevalente) le parole “carie”, “parodontite”, “denti storti”, “denti bianchi” denti  scuri” , “dente rotto” posso beneficiare di informazioni sintetiche che spiegano il problema. 

Le informazioni che si trovano sul web sono dati oggettivi elaborati dalla persona che scrive. Si possono avere così mille tipi di descrizioni dello stesso problema. Avere una informazione, ovvero sapere che “la carie è una malattia infettiva a carattere cronico-degenerativo ad eziologia multifattoriale” significa acquisire una informazione, ma non è una diagnosi. Per sapere se la carie si può manifestare o è presente nella bocca di uno specifico paziente, è necessario recarsi da un professionista che a seguito di una anamnesi e di una ispezione del cavo orale ed eventuali supporti diagnostici, formula una diagnosi e una prognosi, basata sulla storia medica personale di quello specifico paziente, proponendo la cura, assumendosi la responsabilità di aver inquadrato correttamente il problema ed aver proposto la soluzione adeguata, tra le diverse disponibili, concordandola con il paziente. 

Il paziente arriva in Studio con un bagaglio di informazioni, raccolte alla spicciolata su internet, o raccolte tramite confronto con conoscenti e amici, e chiede (a modo suo) qual è il suo problema e come si può risolvere. Forte delle informazioni, si confronta con il professionista “alla pari”, quasi da collega a collega, solo che uno si è informato su internet e l’altro ha fatto minimo 5 anni di università ed è abilitato a fare il dentista.

Il medico odontoiatria in questo caso, deve investire molto più tempo nella relazione con il paziente, deve avere maggiori competenze comunicative di vent’anni fa, e deve aver più pazienza, perché a volte il paziente, nonostante diagnosi prognosi soluzione terapeutica eccellente, ha bisogno di fare “il giro delle 7 chiese” prima di fare la sua scelta e tornare dal professionista per iniziare la cura.

Non concorrono solo le competenze del medico a questa scelta: anche le competenze relazionali del personale ausiliario contribuiscono alla scelta dello studio giusto. Saper comunicare in modo adeguato al proprio ruolo professionale è molto impegnativo: bisogna conoscere come si forma una esperienza di vita, come questa viene elaborata e gestita dalla personalità, come viene etichettata linguisticamente per capire come il paziente la racconta e quale valore gli attribuisce. Bisogna avere empatia cognitiva ed emotiva, conoscere gli elementi della comunicazione, le dinamiche, lo scopo della comunicazione e adattare tutto questo al ruolo, al momento, alla situazione. Il paziente può non sapere, il paziente può non capire, il paziente può essere sé stesso in quanto “soggetto fragile” della relazione della cura, ma il medico e gli operatori ausiliari no, devono comunicare in modo competente ed adeguato al loro ruolo. 

Il paziente è più disorientato

L’effetto collaterale delle informazioni prese da internet è che si  può generare confusione. Proprio perché in internet si scrivono informazioni (quindi dati oggettivi elaborati dalle persone) ce ne sono tante, diverse, più o meno sintetiche, più o meno comprensibili.

Ad esempio, la definizione di carie sopra descritta è tratta dal Ministero della Salute e “gli addetti ai lavori” sanno che è ben formulata e corrisponde al vero. La carie è infettiva perché origina da batteri, è a carattere cronico degenerativo perché se non viene rimossa distrugge progressivamente il dente, e la sua origine (eziologia) dipende da tante cose (multifattoriale): igiene, alimentazione, stato di salute, abitudini, farmaci ecc.
Quanti pazienti sono in grado di comprendere il significato dell’informazione rilasciata dal Ministero della Salute? Alcuni si alcuni no, e prediligono informazioni con un lessico più semplice: “la carie è una malattia dentale che distrugge i denti”. Le parole “malattia” e “distrugge” possono evocare scenari preoccupanti per il paziente ed è per questo che può arrivare in Studio un paziente con un inizio di carie (perché la carie è degenerativa e può anche mettersi anni a progredire) molto preoccupato se non in ansia per la sua salute, convinto di sentirsi dire che è “urgente” intervenire sulla carie prima che distrugga tutto il dente. Se il medico afferma che la carie in stadio iniziale ed è da tenere sotto controllo, in base alla personalità, il paziente può pensare che: 

  • è nelle mani di un bravo medico che lo consiglia al meglio per il suo bene;
  • è nelle mani di un medico incompetente perché le carie distruggono i denti ed è una malattia da curare con urgenza;
  • è nelle mani di un medico speculatore che vuole trattare la carie quando avrà distrutto mezzo dente così ci guadagna di più.

Il paziente è disorientato, compito del professionista e del team è orientare il paziente nelle sue scelte, dandogli le informazioni corrette, capendo le sue emozioni e preoccupazioni ed anche i suoi pregiudizi, rispettando la sua libertà di scelta. 

Il paziente è più esigente

Il paziente è diventato “un consumatore di servizi di salute” quindi affianca alle informazioni sanitarie anche le informazioni tipiche del consumatore: quando è aperto lo studio? Dov’è ubicato? C’è posteggio? La fermata della metro? L’autobus? Fanno aspettare? È pulito? Sono gentili? Mi fanno sentire benvenuto? Sono“moderni”, tecnologicamente allineati ai tempi? Sono convenzionati? Personalizzano i piani di pagamento in base alle cure o alle esigenze personali dei pazienti? Hanno un servizio di gestione delle emergenze? Hanno un sito in cui poter vedere in anticipo i volti, gli ambienti, le tecnologie? 

La sua scelta è orientata anche da questi “elementi di consumo”, adotterà la stessa strategia che usa per gli acquisti importanti: prima darà un’occhiata in internet (se è una personalità che fa le scelte basandosi principalmente sul suo parere), oppure chiedendo a parenti e amici (se è una personalità che fa le sue scelte tenendo conto anche dei suggerimenti e delle opinioni degli altri). Poi deciderà di fare un paio di contatti ponendo domande attraverso i form dei siti oppure andando di persona a fare una visita. Molti danno per scontata la visita “gratuita”, pensando che sia un servizio analogo a quello che offrono i venditori di automobili che investono anche più di un’ora per spiegarti tutto su marca modello e prestazioni, modalità di acquisto e prezzi. 

Personalmente ritengo che la diagnosi e la prognosi siano il valore assoluto della medicina (certo anche la terapia è importante, saper risolvere il problema è fondamentale) ma la diagnosi corretta è la competenza del medico che ascolta il paziente mentre racconta i suoi sintomi (o non li racconta), che indaga sulla sua storia medica, che osserva e visita, che richiede gli approfondimenti diagnostici giusti e che formula la diagnosi, prendendosi la responsabilità di quell’inquadramento, descrivendo la prognosi sia che si intervenga (e quindi suggerisca le possibili terapie) sia che non si intervenga.
Ecco perché secondo me la visita di un professionista va assolutamente retribuita perché è la prestazione intellettuale più significativa. Serve da mezz’ora a un’ora per una visita completa e per instaurare una relazione terapeutica.

Tuttavia, siamo in un mercato in cui il valore diagnostico è stato svenduto per logiche di business e molte strutture offrono la prima visita a titolo gratuito. Non è una questione di qualità della visita, è una questione di business. Alcune strutture preferiscono offrire la prestazione di prima visita gratuita (rimettendoci i costi fissi diretti ed indiretti) ed offrire così un servizio customer oriented, altri preferiscono farsi retribuire per la competenza e il tempo dedicato impostando fin dal primo giorno la relazione di cura su un approccio meno customer e più patient oriented.

Il paziente è meno passivo

Finiti i tempi dell’approccio paternalistico, in cui il medico “sapeva e sceglieva ciò che era giusto per il paziente”, oggi tutta la sanità è orientata a favorire la consapevolezza delle scelte di cura del paziente. L’obiettivo oggi è un paziente consapevole, che sappia fare le sue scelte di cura in assoluta libertà e consapevolezza delle conseguenze delle sue scelte di cura. 

Per essere consapevole e per diventarlo deve chiedere tante informazioni, tutte quelle che egli ritiene siano utili. Ed è qui che gli operatori sanitari devono essere competenti in comunicazione, devono comprendere che le mille domande del paziente più o meno pertinenti, non sono un attacco alla loro professionalità o dubbi sulla loro competenza, sono un percorso di conoscenza, di acquisizione di consapevolezza necessaria alla scelta terapeutica. 

Il paziente è meno tollerante

Il paziente ha poco tempo (come tutti) e il suo tempo vale tanto quanto il tempo dei professionisti. Non è più disposto ad aspettare il suo turno in una struttura privata a pagamento per più di 30 minuti. 30 minuti possono essere il margine di tolleranza dovuto dalle persone empatiche che immaginando di essere a loro volta i pazienti, che vorrebbero ricevere una cura adeguata a prescindere dalle circostanze delle situazioni e dai ritardi. Immaginando di arrivare loro in ritardo a causa di difficoltà di posteggio o di mezzi o di orari o altro, vorrebbero ricevere la cura giusta nel tempo previsto anche a costo di un piccolo ritardo a carico del paziente successivo. Oltre i 30 minuti non è più “situazione” è disorganizzazione. Oltre i 30 minuti è disservizio. Oltre i 30 minuti vanno rivisti i processi.

Il paziente è… prezioso!

Ci sono quindi ottimi motivi per “incolpare” il paziente dei problemi di lavoro, tuttavia non è il paziente il problema perché se vi chiama significa che ha scelto voi tra gli altri, se vi chiede se la visita è gratis vi sta dicendo molto di lui e del suo approccio, se vi chiede mille informazioni significa che sta elaborando.

Comunque si comporti, il paziente è prezioso. Certo può essere complicato trattarlo, può essere complicato soddisfarlo, ma ogni informazione che il paziente rilascia consente di conoscere le sue aspettative e aumentare il livello di qualità del servizio. Il paziente che protesta sta dicendo che non sei all’altezza delle sue aspettative e ti sta dando l’opportunità di fare una scelta: restare come sei o scegliere di migliorare. 

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