Ho incontrato la Programmazione Neuro Linguistica nel 1990. La vidi all’opera e mi affascinò come poche altre cose mi affascinano nella vita, tra queste la psicologia della percezione. Acquistai “Magia Pratica” di Steve Lankton, ed a seguire “Usare il cervello per cambiare” di Richard Bandler, “La Pragmatica della comunicazione umana” di Watzlawick Beavin e Jackson, “Tecniche di suggestione ipnotica “ di Milton H. Erikson Ernest e Sheila Rossi, e molti molti altri libri. Oggi ho perso il conto dei libri che leggo sull’argomento comunicazione e percezione, nell’ultimo mese sono 4 i libri sulla comunicazione, più il libro delle emozioni di Galimberti in corso di lettura.
Più studiavo (perché i libri di PNL si studiano, non basta leggerli) più restavo affascinata dalla comunicazione e dalla metacomunicazione. “Le parole sono importanti” è la celebre frase di Nanni Moretti ed è vero. Certo, la comunicazione è un sistema ricco completato dai comportamenti comunicativi, tuttavia, la scelta delle parole e la sequenza della comunicazione sono importanti.
Acquisire competenze comunicative è sfidante, perché devi prima studiare gli elementi e la dinamica della comunicazione, poi devi studiare come si forma il linguaggio, passando dalla percezione dell’esperienza soggettiva che avviene attraverso i sensi, alla codifica dell’esperienza, alle strategie di acquisizione e memoria messe in atto dal cervello, alla formazione della rappresentazione mentale della realtà (in PNL chiamata mappa) al riflesso che questa realtà mentale ha sull’emozione e come questa condiziona lo stato fisiologico della persona, come ne alimenta i valori la motivazione o le convinzioni, il tutto rilevabile dall’output finale: il linguaggio.
Il linguaggio è un comportamento. In base a come la persona parla, alla scelta dei termini, un programmatore neurolinguistico “legge” questo percorso. Ascolta attento il discorso della persona e attraverso una serie di domande di specificazione passa, insieme all’interlocutore, dalla struttura superficiale della comunicazione all’esperienza profonda. I programmatori neurolinguistici bravi (ed ho la fortuna ed il piacere di conoscere alcuni tra quelli che a mio avviso sono i migliori esperti di PNL italiani) fanno il passaggio dalla struttura superficiale alla struttura profonda in modo conversazionale, l’interlocutore non si accorge di avere davanti una persona che lo sta accompagnando in un percorso di precisazione dell’esperienza a vantaggio della consapevolezza di sé. L’interlocutore parla di sé e risponde agli stimoli e spesso termina il dialogo/colloquio dicendo “mi sono stati più utili questi minuti a parlare con te che ore di riunioni per trovare nuove soluzioni”.
L’obiettivo di un programmatore neurolinguistico è la consapevolezza dell’interlocutore. Un interlocutore consapevole fa scelte giuste per lui, capisce e aderisce alle scelte che fa in modo motivato.
PNL in sanità: il potere del dialogo per l’alleanza terapeutica
La programmazione neurolinguistica dovrebbe essere bagaglio obbligatorio di conoscenza per gli operatori della sanità. Perché la partecipazione convinta del paziente al processo di cura può esaltare al massimo i risultati di una terapia.
Per spiegare al medico la sua situazione il paziente usa le parole, riprendendo quanto sopra: vive un’esperienza attraverso i sensi (ad esempio beve una sostanza) questa esperienza comporta un danno (si ustiona le papille gustative), in base al contesto in cui è avvenuto l’imprevisto, in base al livello di dolore provato, il paziente immagazzina l’esperienza e la codifica formulando un pensiero (evitare di bere “sostanza” calda oppure cancella l’esperienza perché qualcosa di più importante per lui lo attrae e sposta la sua attenzione, operando una cancellazione dell’esperienza) e in base a vissuto personale, importanza dell’esperienza racconterà al medico 10 giorni dopo che “sono 10 giorni che non sento più il gusto dei cibi” e toccherà al medico attraverso un esame obiettivo della lingua e del cavo orale e il dialogo strategico, risalire ai dettagli dell’esperienza per valutare se questa può essere la causa dello stato attuale o se è un evento non riconducibile alla situazione attuale.
Il paziente descrive la sua situazione con le parole, il medico indaga (anamnesi) con le parole, la diagnosi è fatta di parole, la prognosi è fatta di parole (ed emozioni) la terapia è fatta di parole che devono guidare un paziente consapevole e partecipe nel suo percorso di cura.
Il paziente associa al disturbo un significato psicologico e sociale, banalizza o attenziona il disturbo in base al suo vissuto personale. Lo si capisce dal linguaggio, da come racconta ciò che sente.
Oggi poi grazie a “doctor Google” trova al consulto medico con molte informazioni generiche e sommarie e fatica a comprendere che il nozionismo è qualcosa di molto diverso da una diagnosi differenziale.
Per operare una precisa diagnosi differenziale il medico si avvale di un preciso set di domande di specificazione che lo aiutano a distinguere l’origine del disturbo, la causa del problema in atto e lo aiutano a individuare la cura giusta per quel singolo paziente.
Con lo stesso approccio da esploratore è importante esplorare il significato che il paziente attribuisce al disturbo o alla malattia, le aspettative che ripone nella cura e quale significato vi associa, e favorirne la consapevolezza, affinché l’esperienza di cura si attivi a tutti i livelli.
Nel potere del dialogo si costruisce l’alleanza terapeutica. Il patto fiduciario tra paziente e medico. Il tempo del dialogo tra medico e paziente è tempo di cura, lo dice l’art. 1, co. 8, della l. n. 219/2017.
Avere competenze comunicative significa aiutare il prossimo attraverso l’ascolto attento e l’uso accurato delle parole e favorire la consapevolezza dell’interlocutore.