Il gestionale dello Studio dentistico: come arrivare alla scelta migliore per un vero controllo di gestione

Gestionale dello studio dentistico

Comprendere quali dati contano davvero

Ogni studio odontoiatrico produce centinaia di dati ogni giorno. Ma pochi sanno davvero quali contano. L’analisi dei dati in sanità richiede competenze ibride (economiche, cliniche e organizzative) perché ogni numero nasce da un processo e ne racconta l’efficienza, i limiti e le opportunità. Solo chi conosce i processi può trasformare i numeri in scelte strategiche.

La differenza tra “gestire” e “governare” sta tutta qui: nella capacità di comprendere il messaggio che i dati trasmettono e tradurlo in decisioni che orientano la direzione dell’impresa sanitaria.

Dati e organizzazione: il gestionale come strumento

I gestionali sono come armadi ben organizzati: servono a riporre correttamente i dati, così da trovarli quando servono.

Ma se vengono popolati con informazioni imprecise o collocate nel posto sbagliato, è come acquistare un armadio su misura con scomparti perfetti per abiti, cinture e accessori, e poi riporre tutto alla rinfusa. Puoi avere gli scomparti per abiti, cinture e accessori, ma se riponi tutto alla rinfusa finisci per non sapere più quanti abiti possiedi, dove sono finiti gli accessori o cosa manca davvero.

Allo stesso modo, un gestionale disordinato non permette di capire cosa lo studio produce, con quali costi e con quali risultati: conserva dati, ma non genera conoscenza.

Il controllo di gestione è un processo, non un software

Significa avere indicatori chiari e misurabili: produttività, saturazione delle poltrone, margini per branca, incidenza dei costi fissi e variabili.

Occorre distinguere tra:

  • Controllo operativo: ciò che avviene ogni giorno – preventivi, incassi, appuntamenti, rifacimenti.
  • Controllo strategico: ciò che consente decisioni – pricing, risorse, investimenti.

Per arrivarci serve una mappatura delle fonti dati: dove nascono, chi li inserisce, chi li valida, chi li interpreta. Come ricordava Peter Drucker:

«Non puoi migliorare ciò che non misuri, ma misurare male è ancora peggio che non misurare affatto

Significa avere indicatori chiari e misurabili, capaci di descrivere la realtà economica e organizzativa dello studio. Tra i più significativi: la produttività complessiva, i margini per singola prestazione e l’incidenza dei costi diretti e indiretti.

La saturazione delle poltrone è un dato da osservare, ma va interpretato nel contesto del modello clinico scelto: un’agenda non completamente saturata può rappresentare una scelta strategica, utile a garantire flessibilità operativa o a privilegiare prestazioni ad alta marginalità.

In un vero controllo di gestione, il dato non si interpreta mai in modo isolato, ma in relazione alla qualità e alla redditività del servizio erogato.

Dati “storici” sporchi e migrazioni: come evitarne i rischi

Troppo spesso gli studi si trascinano per anni gestionali popolati da dati “sporchi” o incoerenti, eredità di un utilizzo iniziale superficiale. Nei primi anni di digitalizzazione, molti gestionali venivano infatti usati come macchine da scrivere evolute: strumenti per registrare prestazioni e stampare documenti, più che sistemi informativi capaci di generare analisi raffinate e indicatori gestionali.

Oggi quella fase è superata, ma i dati “storici” rimasti nel sistema continuano a compromettere l’affidabilità delle analisi. In questi casi, cambiare gestionale può essere necessario, ma va pianificato con metodo: una migrazione affrettata genera stress operativo, resistenze interne e perdita di informazioni preziose.

Prima del software: definire il cruscotto dei dati

Prima di cambiare gestionale è indispensabile definire il cruscotto dei dati di controllo: capire quali informazioni sono realmente strategiche, quali rappresentano i driver decisionali e con quale frequenza devono essere aggiornate e monitorate.

In altre parole, prima di popolare un nuovo gestionale bisogna sapere quali dati contano davvero. Solo così la tecnologia diventa alleata del controllo di gestione, e non l’ennesima fonte di complessità. In un sistema di controllo evoluto, l’agenda non è solo uno strumento di pianificazione: è una fonte primaria di dati gestionali. Dall’agenda, infatti, è possibile estrarre informazioni di grande valore strategico, a condizione che siano registrate con coerenza e precisione. Tra i dati più significativi da monitorare figurano:

  • Tempo di arrivo rispetto all’orario previsto: utile per analizzare la puntualità e la gestione dei flussi di pazienti.
  • Tempo medio di attesa per tipologia di prestazione (prima visita, controllo, igiene) e per operatore o branca: un indicatore chiave di efficienza organizzativa e percezione di qualità.
  • Tempo di dimissione clinica, ovvero la durata effettiva dell’esperienza del paziente in studio.
  • Tempo di elaborazione amministrativa, sia nella fase pre-clinica (accettazione, consensi, preventivo) sia nella fase post-clinica (fatturazione, incasso, archiviazione).

Questi dati, se letti in modo integrato, permettono di individuare colli di bottiglia, ridondanze e potenziali aree di miglioramento nel flusso operativo complessivo.

Il tempo come variabile economica

In uno studio moderno, il tempo è una importante variabile economica: il tempo dedicato all’organizzazione del piano di cura e alla gestione documentale non è un costo accessorio, ma un investimento strategico nella qualità percepita, nella compliance normativa e nella redditività complessiva del servizio.

Dati anagrafici: dalla registry alla mappa di mercato

Anche i dati anagrafici dei pazienti, se raccolti e gestiti in modo strutturato, rappresentano una risorsa strategica per l’analisi e lo sviluppo dello studio.

Attraverso la loro elaborazione è possibile effettuare analisi di geolocalizzazione e di posizionamento di mercato, identificando le aree di provenienza prevalenti dei pazienti, le fasce d’età più rappresentate e la distribuzione per tipologia di servizio richiesto.

Queste informazioni, lette in chiave manageriale, consentono di:

  • comprendere dove lo studio è realmente attrattivo;
  • individuare quali segmenti di pazienti generano maggiore valore economico;
  • pianificare azioni di marketing mirate e coerenti con il posizionamento territoriale e clinico dello studio.

In un contesto competitivo come quello odontoiatrico, i dati anagrafici — se integrati con quelli clinici e gestionali — non sono solo un archivio di contatti, ma una mappa di mercato reale, utile a orientare strategie di comunicazione, fidelizzazione e sviluppo.

Dati clinici: specificità, fasi e competenza

Anche i dati clinici devono essere il più possibile specifici e coerenti.

Le voci generiche come “visita” o “controllo” non consentono di leggere con chiarezza cosa accade realmente in studio: sotto la stessa etichetta possono finire prime visite, controlli intermedi, follow-up o sedute di rivalutazione, adulti e bambini insieme.

Ogni prestazione deve essere identificata e monitorata, anche quando non viene fatturata: dire “non la registro perché non la faccio pagare” è un errore comune.

Ogni atto clinico ha un costo indiretto — in tempo, tecnologie, organizzazione e personale — e se non viene tracciato correttamente finisce per assorbire i margini delle altre prestazioni.

I dati clinici devono inoltre permettere di fotografare le fasi di avanzamento dei lavori, perché sempre più studi operano come vere e proprie società odontoiatriche e necessitano di collocare correttamente il fatturato per competenza.

Tempario realistico: tempi clinici + tempi di contorno

Altro punto critico: il tempario.

Non può essere basato solo sul tempo clinico effettivo, ma deve includere le attività di contorno, che hanno un impatto organizzativo ed economico reale.

Se una prestazione richiede 15 minuti clinici, bisogna aggiungere almeno 5 minuti per la preparazione (disinfezione ambiente, accoglienza, aggiornamento anamnesi e iconografia) e altri 5 per la chiusura (compilazione diario clinico, dimissione, aggiornamento documentale).

In un modello onesto, l’appuntamento dovrebbe quindi durare almeno 25 minuti, non 15.

Certo, qualcuno potrebbe sentirsi “più performante” nel vedere l’agenda piena e il cronometro che corre. Alcuni medici, in fondo, lavorano meglio solo quando percepiscono la pressione del tempo: se non scatta il cronometro, perdono l’adrenalina della corsa.

Ma il controllo di gestione serve proprio a trasformare quella pressione in efficienza consapevole, non in affanno costante.

Costi indiretti: come imputarli senza distorsioni

Un’altra criticità frequente riguarda il modo in cui vengono imputati i costi indiretti.

Alcuni controller applicano un modello che prevede di abbinare uno o più operatori alle ore di produzione di un singolo professionista, ricavando così un costo orario per produttore.

In questo schema, se un odontoiatra produce ipoteticamente 1.000 ore di lavoro per un fatturato di €200.000,00 e dispone di un’ASO (o due) dedicate, il costo del personale di supporto viene attribuito direttamente alla sua produzione.

È un approccio che può avere senso solo in contesti altamente verticalizzati, dove le assistenti lavorano realmente in modo esclusivo per un unico professionista.

Ma nella maggior parte degli studi, la realtà è diversa: ASO, segretarie e amministrativi operano in modo trasversale, supportando contemporaneamente più odontoiatri, più branche e più flussi clinici.

In questi casi, l’abbinamento “professionista–ASO” o la ripartizione dei costi di front office in percentuale sul fatturato creano un effetto distorsivo: è come se si generassero “micro-studi dentro lo studio”, perdendo di vista la natura realmente integrata dell’organizzazione.

I costi indiretti — dal personale amministrativo ai servizi di segreteria, dall’accoglienza al coordinamento clinico — non sono costi del singolo operatore, ma costi dell’impresa sanitaria nel suo complesso. Il team è lì per tutti: la sua funzione è abilitante, non esclusiva.

Attribuire in modo improprio costi condivisi rischia di alterare la percezione delle marginalità, spostando l’attenzione dalla collaborazione all’individualismo produttivo.

In un vero modello di controllo di gestione sanitario, i costi organizzativi vanno imputati alla produzione complessiva: solo così si misura la reale efficienza dell’impresa e si valorizza il contributo del team nel generare valore economico e operativo.

Scelta del gestionale: dati prima dello strumento

Detto questo, prima ancora di valutare quale gestionale adottare, è fondamentale decidere quali dati dovranno alimentare il cruscotto del controllo operativo e strategico. Ogni produttore di software vi dirà che “il suo gestionale è il migliore” — e probabilmente, in un certo senso, avrà anche ragione. Ma affinché diventi davvero il software migliore per il cliente, il cliente deve sapere con precisione quali dati vuole estrarre, analizzare e monitorare.

Il valore di un gestionale non sta nella quantità di funzioni che offre, ma nella qualità e filtrabilità dei dati che restituisce. Un sistema con duemila campi compilabili ma non filtrabili può essere comodissimo nella gestione quotidiana, ma non servirà a nulla per il controllo di gestione.

La scelta del gestionale dovrebbe quindi avvenire a valle di un lavoro di progettazione manageriale: prima si definisce quali sono i dati guida del processo decisionale, poi si sceglie lo strumento più adatto per raccoglierli, leggerli e trasformarli in informazione utile. In definitiva, il gestionale è uno strumento potente solo se viene governato da persone competenti.

Ruoli chiave: Dental Case Manager e Office Manager

Nell’organizzazione di uno studio moderno, i dati non servono solo a “tenere i conti”: servono a capire le esigenze dei pazienti, come evolve la produttività e dove si genera valore reale.

È qui che entrano in gioco due figure chiave della nuova impresa odontoiatrica:

Il Dental Case Manager, che utilizza i dati per interpretare le dinamiche di provenienza, accettazione e soddisfazione dei pazienti, trasformando l’informazione in relazioni solide e percorsi di cura coerenti.

Il Dental Office Manager, che aggiorna e governa il cruscotto degli indicatori gestionali, allineandolo alle politiche di sviluppo e alle strategie di espansione dello studio.

Entrambi rappresentano il ponte tra dato e decisione, tra organizzazione e crescita.

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